Gianfranco Pannone: “Racconto la quotidianità delle future Guardie Svizzere”

La Guardia Svizzera al tempo di Papa Francesco: è questo il tema del documentario “L’esercito più piccolo del mondo” di Gianfranco Pannone, in programma in anteprima regionale lunedì 18 aprile al cinema Romano, alle ore 20, alla presenza del regista.

Una proiezione-evento organizzato da AIACE Torino, in collaborazione con Centro Televisivo Vaticano e Solares Fondazione delle Arti.

Sinossi: Leo e René sono rispettivamente un guardaboschi e uno studente di teologia dell’Argovia, che hanno deciso di far parte del corpo Pontificio nato nell’epoca di Giulio II. Leo è un ragazzo semplice, felice di fare un’esperienza formativa nella Città Eterna. René è un intellettuale cattolico che vuol capire: cosa significa indossare un abito del ‘500 ai nostri giorni? Far parte di un variopinto ma per molti versi anacronistico corpo militare, specie in rapporto a una figura “rivoluzionaria” come quella del santo Padre venuto da lontano? Il giovane soldato prova a trovare una risposta per sé e per i suoi compagni d’armi.

Per conoscere meglio il documentario e presentarlo al pubblico torinese abbiamo intervistato Gianfranco Pannone.

Come mai ha deciso di raccontare le Guardie Svizzere?

Sono stato chiamato a fare questo documentario. Molto spesso in passato ho raccontato fatti della storia d’Italia: quella delle Guardie Svizzera è parte della storia del Vaticano, ma anche della nostra, del nostro immaginario.
Ma è un lavoro che non avrei mai potuto fare se non durante il pontificato di Papa Francesco: si racconta la quotidianità di ragazzi che sono come molti loro coetanei, dei ragazzi normali.

Quanto tempo è rimasto con loro, che libertà aveva di seguirli?

Avevo una sorta di pregiudizio, devo ammetterlo, e invece ho avuto una libertà notevole, non me la aspettavo. Soprattutto per quanto riguarda l’approccio, l’ottimo clima in cui ci è stato permesso lavorare.
Ho potuto girare in 8 tempi, tornando una volta al mese e vedendo crescere i miei protagonisti, che al loro arrivo a Roma erano dei ragazzi e sono poi diventati uomini, sono diventati soldati, oltretutto chiamati a svolgere il loro compito non in un esercito qualsiasi ma a difesa della vita del Papa.


Erano come se le immaginava?

Prima di questo papato erano molto più irreggimentate, ora con il nuovo comando sono meno militarizzate, ed è un aspetto che volevo ci fosse nel documentario. La volontà della produzione era quella di far capire che dietro al Vaticano come “luogo dei misteri” ci sono persone normali, e credo che abbiano chiamato me a girarlo perché nei miei lavori precedenti ho dimostrato di saper mostrare l’umanità delle persone che raccontavo.
Ad arricchire il percorso del film c’è stato poi il personaggio di René, giovane che si sta laureando in teologia. È entrato nelle Guardie Svizzere per motivi di fede, come molti altri, ma a un certo punto ha avuto una crisi, crisi che lo porta a fare una ricerca e che è in qualche modo risolta dalla personalità di Papa Francesco, che nella seconda parte di documentario è molto presente e che ha insegnato a tutti che non è l’abito a fare il monaco. Lui per tutti è un esempio, un esempio importante.

Lei è sempre attivissimo, su cosa sta lavorando ora?

Sono alle ultime fasi di lavoro su un nuovo film documentario: in questo periodo sono molto interessato dalle nostre radici cattolico-cristiane, e ho realizzato un film molto particolare, Lascia stare i santi.
Si tratta di un viaggio nella musica popolare religiosa, costruita attraverso i filmati dell’Istituto Luce Cinecittà e grazie alla collaborazione dell’etnomusicologo Ambrogio Sparagna.
Inoltre, Fabrizio Gifuni e Sonia Bergamasco danno voce ad autori che hanno affrontato il tema, considerandolo non solo superstizione ma qualcosa di più profondo, radicato nella nostra storia, come Silone, Pasolini, Pasolini, Dolci.