“Non alzare il ponte, abbassa il fiume” |
Non solo al cinema Massimo: la rassegna “Ombre rosse. Il cinema del ’68” si sdoppia, arrivando anche al cinema Fratelli Marx di corso Belgio, con questa programmazione:
Martedì 22 maggio
h 19,00 Mash di Robert Altman (Usa 1970, 116′)
h 21,00 Per favore non toccate le vecchiette di Mel Brooks (The Producers, Usa 1970, 88′)
Martedì 29 maggio
h 19,00 Prendi i soldi e scappa di Woody Allen (Take the Money and Run, Usa 1969, 85′)
h 21,00 Hollywood Party di Blake Edwards (Usa 1968, 99’)
Martedì 5 giugno
h19,00 Non alzare il ponte, abbassa il fiume di Jerry Lewis (Don’t Raise the Bridge, Lower the River, USA 1968, 99′)
h 21,00 Playtime di Jacques Tati (Francia 1967, 126′)
Programma curato da Sergio Toffetti,Stefano Boni, Annamaria Licciardello, Grazia Paganelli, Gaetano Renda, Elena Testa, Elena Volpato, con la collaborazione del Polo del ‘900, nell’ambito del progetto integrato chiamato “Dall’immaginazione al potere. 1968-1969”, coordinato dal Centro studi Piero Gobetti, con la collaborazione di Paola Olivetti (ANCR), Claudio Panella (Unione Culturale), Giovanni Ferrero (ISMEL).
Queste le parole di Sergio Toffetti a presentazione dell’intero progetto.
In principio era il cinema. Poi venne il ’68, che compone le grandi manifestazioni del Maggio francese citando esplicitamente La Cinese girato da Jean-Luc Godard l’anno precedente: due gesti viventi di “pop art” tradotta in azione sovversiva del linguaggio e dell’equilibrio sociale. Insieme, il cinema e il ’68 procedono fianco a fianco – stretti come ci si teneva nelle manifestazioni – discutendo, scontrandosi, avanzando e impelagandosi in una dialettica da “compagni di strada”. Del resto, il ’68, quello nelle strade e nelle università, viene fatto da veri e propri “enfants du cinéma”. Come Jean-Pierre Léaud (autoritratto cinematografico di una generazione) che, adottato dal cinema di Truffaut a quindici anni per I 400 colpi, compiuti i ventitré viene ora spedito da Godard ad arruolarsi nel gruppuscolo maoista della Cinese. O come Marco Bellocchio e Lou Castel (questa volta nella realtà – se pure c’è differenza…), che da ribelli coi “pugni in tasca” fin dal 1965, si inebriano quattro anni dopo nel fervore marxista-leninista. “Enfant du cinéma” lo era un’intera generazione, l’unica che ha avuto la fortuna di vedere sui grandi schermi tutta la storia del cinema “in diretta”. Chaplin e Dreyer girano nel 1964 La contessa di Hong Kong e Gertrud, John Ford Missione in Manciuria nel 1967; Hitchcock, Bunuel, Bergman, Fellini, Visconti, Pasolini, Antonioni, Kurosawa, Jacques Tati, sono in piena maturità creativa; nelle sale d’essai si inseguono coetanei e fratelli maggiori: le “nuove ondate” europee, sudamericane, giapponesi, Morgan matto da legare, Miklos Jancso, Glauber Rocha; Bernardo Bertolucci, Marco Ferreri, i Taviani; mentre nei cinema di periferia si vanno a cercare i western di Peckinpah e Sergio Leone, Jerry Lewis, Hollywood Party, la metafora sovversiva di Romero in La notte dei morti viventi, le distopie del Pianeta delle scimmie; un manifesto della controcultura come Easy Rider e, soprattutto, 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, la vera opera d’arte totale del ’68, che purtroppo non è disponibile in questo periodo, probabilmente in attesa di un restauro della versione 70mm.
Ombre rosse. Il cinema del ’68, idealmente inaugurato in occasione del Salone del Libro con la proiezione alla Mole Antonelliana di The Dreamers e di Partner di Bernardo Bertolucci (mentre al Massimo passa il bel documentario sul ’68 di Giuseppe Bertolucci) prova a ricostruire un “archivio della memoria” mettendo insieme le visioni dei maestri, la rivoluzione del linguaggio, la sperimentazione, la sovversione quotidiana che si insinua nelle produzioni “commerciali”; la controinformazione militante, i film rock.
A questa prima parte, dedicata alla scena internazionale, seguirà una “sezione italiana” in autunno, quasi a replicare la stagionalità ormai mitica degli eventi: dal maggio francese del 1968, all’ “autunno caldo” italiano del 1969.