Emanuele Caruso: “A riveder le stelle, esperienza unica”

Una settimana di riprese ad agosto 2019 (dopo lunga preparazione – anche – fisica), una post-produzione già avviata, un’uscita in sala fissata per marzo 2020: queste le linee guida di base del nuovo progetto di Emanuele Caruso, regista del piccolo grande successo “La Terra Buona“, con oltre 55.000 biglietti venduti (Fonte Cinetel) e un incasso al botteghino superiore ai 310.000 Euro.

Si tratta di un documentario, “A riveder le stelle“, realizzato grazie al sostegno della Film Commission Torino Piemonte – Piemonte doc Film Fund e del Parco Nazionale della Val Grande, dove la lavorazione è avvenuta assieme a una mini-troupe e a un cast guidato dagli attori Giuseppe Cederna e Maya Sansa, eccezionalmente accompagnati dal dottor Franco Berrino.

La sfida – ha spiegato Caruso – è stata quella di mettere assieme una sorta di “Compagnia dell’Anello”, formata da persone che non si conoscevano, e che, arrivando da mondi totalmente diversi hanno voluto condividere un’esperienza di riflessioni e di vita comunitaria in un luogo montano selvaggio e fuori dal mondo: la Val Grande, 152 km quadrati di natura estrema e selvaggia al confine fra il Piemonte e la Svizzera. La prova, accolta dai partecipanti, è stata quindi quella di raccontare la propria esperienza di vita, condividendo un loro percorso personale. La compagnia ha camminato per 7 giorni, percorrendo 36 km e affrontando un dislivello di 5.000 metri, laddove questa società non ha messo le radici, dove le stelle, la sera, sono l’unica luce che l’occhio umano percepisce. Il gruppo, otto persone, compresa la troupe formata dal regista e da un assistente, è rimasto immerso nella natura, come fosse sospeso nel tempo, distante dalle ansie della quotidianità, in un luogo dove l’aria ha un altro profumo e il cielo è così vicino da far sembrare tutte le catastrofi del mondo lontane, quasi non esistessero. Sette giorni per dimenticarsi chi siamo e iniziare una nuova vita“.

Un documentario che nasce direttamente dall’esperienza de “La Terra Buona”. “Sì, potremmo anche chiamarlo La Terra Buona 2, anche se questo è un documentario. Da lì ho iniziato a farmi molte domande ed è nato il seme del progetto. Anche se poi al momento della partenza, pur essendomi a lungo preparato (ho perso anche 12 kg per essere pronto allo sforzo!) ho avuto una crisi psicologica, temevo seriamente di non riuscire a portare a casa il progetto. Ma mi sono affidato ai colleghi e fidato del gruppo, e ora che sto montando il girato sono convinto che tutto sia andato come doveva. Il documentario viene costruito per un ipotetico pubblico che potrebbe vederlo tra 50-100 anni, si chiederanno perché non abbiamo fatto nulla quando potevamo… Ecco, voglio provare a capirlo anche io“.