Licinio Azevedo è un regista brasiliano che da oltre 40 anni vive in Mozambico, dove porta avanti il suo lavoro nel cinema con estrema fatica e dove, nel 2016, ha realizzato il film “Comboio de sal e açúcar“, inserito nello Spazio Lusofono della rassegna Agenda Brasil Torino 2019. Lo abbiamo intervistato.
Quanto è stato difficile realizzare il film?
Ho conosciuto questa storia alla fine degli anni ’80. Il Mozambico era un paese molto ricco, produceva zucchero in enormi piantagioni. La guerra civile ha distrutto tutto: la situazione era disperata, e allora un gruppo di donne ha trovato un modo per sopravvivere. Compravano il sale sulla costa, viaggiavano in treno per il nord del paese fino al confine con il Malawi dove lo cambiavano con zucchero, e tornando ne vendevano un po’ sulla strada per sostenere le famiglie.
È un viaggio che si potrebbe fare in una decina di ore, oggi, ma poteva durare 2-3 mesi e anche non arrivare mai, c’erano attacchi sulle linee ferroviarie, furti, rapimenti… Ho fatto un lungo lavoro per un documentario su tutto ciò, ma non trovavo produttori, avevano paura che ci potessero essere ritorsioni. Il tempo è passato, a me non piace girare documentari su eventi che sono finiti, in quei casi preferisco lavorare con la fiction, e così ho tentato: nel ’94-’94 ho fatto più volte quella tratta, raccolto storie di chi aveva vissuto quei momenti e ho scritto un romanzo, che ha avuto buon successo. Negli anni successivi, quando ho iniziato a fare cinema di finzione, ho fatto la trasposizione del mio stesso libro: contesto vero, personaggi inventati.
Come è stato lavorare in Mozambico su questi temi?
È stato difficile, anche perché – come ora – in quei momenti stava ricominciando la guerra civile. Ho avuto difficoltà ad avere i permessi dall’esercito, avevo bisogno di loro perché tra i miei personaggi ce n’erano molto, serviva anche usare armi… Avevano paura che la gente si rivoltasse credendo che i miei attori fossero veri soldati, che i rumori degli spari fossero reali.
Lungo tutto la tratta del film abbiamo quindi dovuto fare un lungo lavoro andando prima a parlare con chi viveva lì e rassicurandoli: il modo migliore è stato quello di coinvolgerli nel cast, avevo bisogno comunque di molte comparse. Stando sul set, non potevano avere dubbi che quello fosse un film e non la guerra vera. Sono stati due mesi di set intensi.
Il film è stato visto in Mozambico?
Sì, ed è stato il più visto degli ultimi anni. Due anni fa quando è uscito c’erano solo tre sale in tutto il Paese, due nel sud e una nel nord. Negli anni ’60 ce n’erano 30-40, ora sono quasi tutte chiese. Ma anche nei festival di tutto il mondo è andato molto bene, vincendo molti premi.
La guerra civile non è facile da raccontare, nessuno è contento di come viene rappresentato, non ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall’altra: è una delle situazioni più terribili che si possano immaginare.
Quali sono i prossimi progetti?
Sono al lavoro su diversi progetti, nella speranza di farne uno presto. Ho appena finito di scrivere la sceneggiatura su una storia ambientata in Mozambico prima dell’indipendenza, la vera storia di una nave partita carica di armi e ritrovata vuota e senza nessuno a bordo (solo un gatto). Sono passati 40 anni da quei fatti e ancora non si sa nulla di cosa sia successo: ho inventato una storia d’amore e una mia versione dei fatti…