In attesa di sapere quale sarà il nome prescelto per dirigere il Torino Film Festival il prossimo anno, si è chiusa l’edizione numero 37 dell’evento torinese, dal 2014 diretto da Emanuela Martini (alle 6 edizioni in “prima linea” si aggiungono le 7 precedenti come “vice” di Nanni Moretti, Gianni Amelio e Paolo Virzì).
Che festival è stato? Raccogliendo i commenti di addetti ai lavori e spettatori seriali, non è stato un buon anno. Una competizione squilibrata e mediamente trascurabile (pochi guizzi, dal “già” maestro Balagov – penalizzato dalla giuria – all’interessante “El Hoyo“, e poco altro), una massa di titoli italiani sparsi in ogni sezione e un uso maldestro degli ospiti non ha aiutato a “sentire” l’evento. “Per gli ospiti pop ci vogliono più soldi“, ha chiosato Martini: vero, ma nessuno chiede al TFF l’ospite VIP, anzi. Merito del festival è sicuramente stato quello di farci incontrare e conoscere nomi nuovi e interessanti (quest’anno, l’unico faro puntato in quella direzione era per la meritevole regista macedone Teona Strugar Mitevska).
Tanti, troppi film in odore di uscita in sala in questi giorni non accompagnati da registi o altri ospiti. Tanti, troppi gli ospiti presenti e non segnalati sul programma (era impossibile farlo? Uno dei valori aggiunti delle proiezioni festivaliere è proprio l’incontro…). Tanti, troppi i film a cui non ha fatto seguito il cosiddetto Q&A (sta per Questions and Answers, e cioè le chiacchiere del pubblico con gli ospiti). Tante, troppe le proiezioni non presentate da nessuno del festival: questa purtroppo non è una novità, lasciare il pubblico “solo” di fronte alla proiezione spersonalizza l’evento (le presentazioni sono previste solo alla “prima” dei vari film).
E poi una certa aria di “stanchezza” da parte di chi organizza il tutto, una direttrice che mai come quest’anno si è “rinchiusa” in un programma fatto dai suoi gusti e dalle sue passioni, con horror in tutte le sezioni (dalla retrospettiva ad Afterhours al concorso…) e un’ospite d’onore – la pur iconica Barbara Steele – che è stata proposta come volto del TFF sui manifesti e che ha rappresentato l’unica presenza pubblicizzata dal festival. Ma si tratta pur sempre di un’attrice minore, protagonista di un cinema di genere lontano nel tempo, capace sì di diventare personaggio mitico ma di sicuro davvero “poca cosa” se rimane l’unica presenza di spicco.
Mancano ancora i dati ufficiali di fine festival, che arriveranno ma sono importanti fino a un certo punto. Difficile confrontarli anno dopo anno, con le variazioni tra accrediti e biglietti singoli, incassi e presenze: in ogni caso, nessuno discute l’impatto che il festival ha consolidato negli anni sulla comunità cinefila (non solo) cittadina, con lunghe file e grande risposta di attesa e trepidazione per i giorni del festival. Torino ama il suo festival, lo aspetta e lo segue, anche quando i film non sembrano all’altezza dell’evento. Ci si può lamentare all’uscita, si può polemizzare con gli amici/colleghi cinefili, ma di sicuro un anno dopo si sarà ancora lì, ad aspettare frementi il programma pronti a mettersi in coda, un’altra volta.