Registe (a Torino): Monica Affatato

Nuova puntata di Registe (a Torino): ospite Monica Affatato.

Come ti sei avvicinata al mondo del cinema e del documentario?

Ho iniziato a lavorare sui set come assistente casting e regia, qui a Torino. Poi ho scoperto il mondo del documentario, che non conoscevo, lavorando con registi come Alberto Signetto e Armando Ceste. Ho sentito nascere in me l’esigenza di usare la macchina da presa per raccontare storie, per denunciare alcune situazioni. Ho avuto anche l’opportunità di collaborare con l’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, un’esperienza formativa fondamentale.

Il tuo primo lavoro da regista è “Tirana-Torino”. 

Esatto, sarà stato il ’97-’98. È un documentario nato dalla mia conoscenza diretta di una realtà, quella di minori albanesi arrivati a Torino alla ricerca di un futuro migliore e ospitati da una casa accoglienza. Venne organizzato un torneo di calcio, mi chiesero di fare delle riprese e quando la loro squadretta fu chiamata per una sfida a Nizza, il viaggio e la partita diventarono il centro del mio racconto (purtroppo non esiste copia di quel documentario). Ho cercato di narrare le loro vite e il corto circuito che si stava creando: alcuni di loro erano giunti in Italia “convinti” da ciò che vedevano in tv (vedendo il telefilm “Beverly Hills 90210” doppiato in italiano erano convinti che fosse ambientato qui!), da noi erano considerati stranieri ma in Francia li chiamavano “les Italiens”… Trovavo tutto ciò molto interessante da analizzare, spero di averlo fatto al meglio. Quel lavoro partecipò a un contest che organizzava la Robe di Kappa, vinsi anche un premio.

Tappa successiva del tuo percorso fu “Tutti mi chiedono da dove vengo nessuno vuol sapere chi sono” (visibile su Streeen).

(Photo by Riccardo Ghilardi/Contour by Getty Images)

Diretto insieme a Daniele Gaglianone e Luciano D’Onofrio, con cui collaboro tuttora. Daniele aveva già un suo linguaggio e per me è sempre stato un punto di riferimento, Luciano è un amico con cui il confronto di idee è continuo.
Il documentario è la storia di tre ragazzi stranieri, compagni in una squadra di calcio e in un corso di italiano, e delle difficoltà nella ricerca di una casa perché stranieri.

Nella tua carriera non è l’unica co-regia.

No, devo dire che mi sono sempre trovata molto bene a dirigere con qualcuno. Specie nel mondo del documentario, confrontarsi di continuo è fondamentale. Si tratta comunque sempre di opere corali, con tutti gli altri membri della troupe.
Dopo quel primo esempio c’è stato “Il reduce”, girato con Pier Milanese per il centenario della Fiat, sulla figura di Sabino Ferrante…

…e poi “La voce Stratos“, ancora con Luciano D’Onofrio. 

Che per me è stato un po’ la chiusura del cerchio… Ho fatto il Conservatorio, studiando musica e canto lirico. È stata un’esperienza complicata. Quando a Luciano è venuta l’idea di un documentario dedicato a Demetrio Stratos ci è parso perfetto: lui era legato alla prima fase della sua carriera, io a quella di sperimentatore dell’uso della voce. Ci siamo dedicati ai due aspetti separatamente, in fase di ricerca e sviluppo, per poi mettere insieme i nostri percorsi.

Da Stratos a Rava, con “Note necessarie“. 

Ammetto che speravo di avere una strada più semplice, dopo il successo de “La voce Stratos”. Invece dalla prima idea, nel 2010, ho dovuto aspettare il 2016 per chiudere la produzione e il film!
Ho avuto la fortuna di conoscere Enrico perché il padre dei miei figli suonava, e suona ancora, con lui. Una sera ho raccolto il mio coraggio e gli ho mostrato una copia quasi definitiva del lavoro su Stratos, per fortuna gli è piaciuto e abbiamo iniziato a lavorare.
Dati i miei trascorsi, considero sempre una storia interessante se posso metterla nel giusto contesto, raccontando anche “altro”: Enrico Rava ha vissuto oltre 50 anni di storia del jazz, conoscendo tutti e suonando ovunque, lo consideravo il soggetto ideale.

E ora su cosa stai lavorando?

In queste settimane di lockdown ho avuto la fortuna di potermi concentrare su Streeen.org, con cui collaboro dall’inizio. Questi “domiciliari” ci hanno permesso di lavorare appieno sul portale, sono contenta di come si sta sviluppando.
Ho poi avuto modo di fare un po’ di ricerca nei miei scatoloni, riscoprendo progetti iniziati e poi sospesi, alcuni anche dimenticati… ho trovato cose buone, le idee su cui muovermi non mancano di certo. Al momento ho un problema di formati, sto cercando di recuperare le attrezzature corrette per poter riversare le varie fonti e iniziare a svilupparli!