Camilo Cavalcante: “Nel ricordo di Andrade Jr”

Il regista brasiliano Camilo Cavalcante è a Torino ospite di Agenda Brasil: oggi, domenica 7 maggio, alle 18 presenterà al cinema Massimo il suo film “King Kong en Asuncion“, un road movie che che viaggia attraverso l’ibrido universo del linguaggio tra il documentario e la finzione, rivelando la geografia umana della Bolivia e del Paraguay, gli unici paesi del Sud America che non hanno accesso al mare. E’ la storia del “Velho”, un sicario che vaga per paludi, saline, montagne e foreste dell’America Latina, affittando il suo lavoro. Ma è stanco e vuole andare in pensione, così si reca ad Asunción, nel Paraguay, per trovare la sua unica figlia, che non ha mai incontrato.

Camilo, come nasce l’idea di questa storia? 

«Credo fortemente che il cinema sia l’arte dell’incontro. Ho conosciuto il mio attore protagonista, Andrade Junior, nel 2007 al festival di cortometraggi Curta Iguassu, in Brasile. Eravamo entrambi ospiti, e come capita a volte nei piccoli eventi ci avevano messi nello stesso appartamento per i giorni del festival. Era una persona fantastica e da lì è iniziato tutto, siamo diventati amici e una sera – senza motivo, per puro scherzo – mi ha fatto l’imitazione del gorilla. E’ nata la prima scintilla del suo personaggio, ho avuto la prima visione di questo film. Solo nel 2017 ho però iniziato a scriverlo, dopo un lungo viaggio tra Bolivia e Paraguay per cercare i giusti luoghi in cui girarlo. Ho pensato per anni a questa storia, dando corpo al Velho. Purtroppo Andrade è morto nel 2019 e non ha mai potuto vedere questo film finito: ma ad ogni proiezione sento la sua presenza, lui è con noi anche se non c’è fisicamente, grazie alla sua interpretazione».

Parte fondamentale della storia è che Bolivia e Paraguay, dove si svolge, non hanno sbocchi sul mare. 

«Sì, è una cosa importantissima per me: il mare è fondamentale in Sudamerica, per motivi economici ma anche visivi. Dà da lavorare, permette di accrescere le proprie ricchezze, permette di viaggiare per il mondo. Bolivia e Paraguay invece sono più isolate, si sa poco di questi due Paesi, specie delle loro parti più interne. Questo isolamento li porta a non essere visti, io volevo per una volta mostrarli perché il mondo non potesse più fare finta che non esistono».

Ha lavorato molto a questo film ma ha lasciato spazio anche all’improvvisazione. 

«Fin dall’inizio volevo che il film fosse vivo: ho scritto una linea, una sorta di guida per il suo svolgimento ma sono sempre stato pronto ad accettare tutto ciò che sarebbe accaduto durante le riprese. La vita doveva poter entrare nel film! Abbiamo girato tra l’altro con una piccola troupe internazionale, con membri dal Brasile e dai due Paesi in cui abbiamo girato, dovevamo essere molto flessibili. Lo spirito d’avventura era fondamentale specie quando giravamo nel deserto o sulle altissime montagne. Per l’altitudine abbiamo avuto bisogno anche di alcuni paramedici che ci seguissero (meno male, un membro della troupe ha dovuto anche abbandonare il film perché è stato male). Il rischio era previsto e studiato, poteva andare molto peggio! Lo spirito con cui abbiamo affrontato il lavoro ha generato una serendipità per cui tutto è andato per il meglio».

La presenza di King Kong nel titolo richiama l’attenzione. 

«L’ho scelto per motivi metaforici, ma anche sarcastici. Come il vero King Kong si sente perso e solo a New York, il nostro Velho si sente quando arriva ad Asuncion, che è una metropoli gigante e contorta. E’ solo e disperato, senza affetti e non sa come muoversi… Inoltre, volevo far riflettere il pubblico: che mostro abbiamo dentro di noi? A cosa abbiamo dovuto rinunciare di noi per ottenere quel che abbiamo avuto nella vita? Non è una domanda valida solo per lui, che ha fatto il sicario, ma per chiunque…». 

Ultima domanda: su cosa sta lavorando ora? 

«Da pochi giorni ho presentato un documentario, che si intitola “Rua Aurora” e che è stato al festival Toda a Verdade di Sao Paulo. Poi sto lavorando a un altro film, di finzione, che si intitola “O Palhaço de Cara Limpa” (che tradotto sarebbe “il pagliaccio con la faccia pulita”, NdI), una produzione indipendente che sto girando con alcuni amici fin dal 2016 e che sarà pronta il prossimo anno. Il protagonista è un attore in crisi coniugale che torna a vivere con sua madre in un periodo complesso della sua vita, che coincide con gli anni peggiori della storia recente del mio Brasile, quelli che vanno dal golpe di Dilma Rousseff fino all’elezione di Bolsonaro. Sarà un film poetico e politico».

Intervista a cura di Carlo Griseri