George Ovashvili: “Nei miei film la storia della mia Georgia”

Il regista georgiano George Ovashvili, autore del capolavoro “Corn Island”, è stato ospite del festival torinese Cinemambiente 26 come membro della giuria e il Museo del cinema ha organizzato al cinema Massimo una retrospettiva completa dei suoi lavori.

Quanto è importante per lei il tema ambientale? 

«Ogni giorno è più importante, non solo per me ma per ogni essere umano. Ho visto i film del concorso internazionale e ho visto il tema raccontato in molti modi diversi: nella nostra vita non sentiamo in ogni singolo momento quanto questi problemi siano intorno a noi, quanto cambino la nostra quotidianità. Ma quando ti concentri davvero capisci quanto sia enorme tutto ciò e che bisogna svegliarsi immediatamente per salvare il nostro futuro: bisogna iniziare subito a cercare delle reali soluzioni, anche se è molto difficile. Sono cresciuto in mezzo alla natura, non mi posso immaginare senza, anche se ora vivo in una grande città purtroppo, a Tbilisi: ma la mia infanzia è stata tutta nel verde. Noi umani siamo parte di essa, è dentro di noi ed è per questo che la natura è sempre al centro dei miei film, inevitabilmente è sempre uno dei principali personaggi  e voglio continuare così anche nei miei prossimi progetti».

Nei suoi film ha raccontato sempre parti della storia del suo Paese: quanto la Georgia è importante in questo senso? 

George Ovashvili – Foto Cinemambiente

«Ognuno di noi è collegato al proprio Paese, alla propria storia, alle proprie radici, veniamo da lì. Posso dire che non nasce mai in me di proposito la volontà di raccontare la storia della Georgia, ma è sempre presente come sfondo delle mie storie, devi avere una connessione emotiva con quello che decidi di raccontare. I miei film non sono quasi mai direttamente sul mio Paese ma i miei personaggi vivono lì, si muovono lì».

Fino ad ora ha girato da regista quattro lungometraggi: il primo, “Gagma Napiri (The other bank)”, è stato presentato a Berlino nel 2009. 

«E’ molto triste per me pensare che ne ho girati così pochi in tutto questo tempo, sono passati 17 anni da quando ho iniziato a lavorare a “Gagma Napiri”: c’è voluto un sacco di tempo per realizzarli, è triste perché avrei voluto farne molti di più, ho tante idee e storie nella testa, tante emozioni da condividere ma la vita è troppo breve per fare tutto. Penso spesso che metterci 4-5 anni per fare un film sia un tempo enorme e vorrei accorciarlo per farne di più, ma dipende anche dal posto in cui vivo e lavoro, dalle possibilità che offre, dalle lotte per ogni singola produzione da mettere in piedi».

Che legame c’è tra i vari film della sua carriera? 

«I miei primi tre film (il secondo è “Corn island” del 2014, il terzo è “Khibula” del 2017, NdI) sono sostanzialmente una trilogia legata dal periodo storico vissuto dal mio Paese negli anni Novanta del secolo scorso. Sono stati anni di grande dolore, ci sono molte domande ancora senza risposte su ciò che è accaduto in quel periodo. Ogni georgiano sa che vennero fatti enormi errori da noi stessi, ma secondo me se non ti fai le domande giuste non potrai mai andare avanti, resterai sempre bloccato. Fu un periodo di conflitti etnici all’interno della Georgia, c’è stata una guerra civile a Tbilisi che ha portato morti e distruzione. Abbiamo provato a dimenticare tutto, lasciandolo nel passato: ma non è così semplice, i problemi restano. In “Khibula” racconto la storia di Zviad Gamsakhurdia, che è stato il nostro presidente tra il ’91 e il ’92: lo abbiamo eletto con il 99% dei voti, e pochi mesi dopo lo abbiamo ucciso. Non possiamo non chiederci perché sia successo, chi sia stato…».

Anche “Gagma Napiri (The other bank)” – visibile sulla piattaforma Prime Video – è parte di questo percorso. 

«Sì, lì racconto il conflitto tra la Georgia e l’Abkhazia: eravamo un unico Paese e vivevamo bene tutti insieme, come una grande famiglia. Poi un giorno all’improvviso abbiamo iniziato a spararci e ucciderci l’un l’altro (L’Abkhazia dichiarò l’indipendenza dalla Georgia il 23 luglio 1992, NdI). Ovviamente non ho risposte sul perché questo sia successo, ma metto nei miei film tutti i miei sentimenti al riguardo e tutte le mie domande. Il pubblico vuole capire meglio queste cose. Quando ho finito il film, però, ho avuto la sensazione di non essere riuscito a dire tutto e così è nato il mio secondo progetto».

Progetto che si intitola “Corn Island”, che ha vinto il Trieste Film Festival nel 2015 ed è finora l’unico suo film a essere uscito nei cinema italiani (distribuito nell’agosto 2015 da Cineama e ora in dvd grazie a CG Entertainment). 

«Ci ho messo dentro tutte le domande che mi ero posto e che non avevo saputo inserire nel primo film. Poi è venuto “Khibula” sul nostro primo presidente dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica. Certo, ci sono tantissimi momenti chiave in quel decennio ed era complicatissimo metterli tutti dentro ai miei film, ma un giorno ho avuto paura perché i miei personaggi “vivevano” dentro di me e ho iniziato ad averli con me nella vita quotidiana. Ammetto che mi sono spaventato perché le loro sono tutte – più o meno – storie di morte. Sentivo sulle mie spalle il peso del loro destino e ho voluto cambiare direzione, la mia vita è cambiata e sono ripartito anche come regista».

Beautiful Helen

Ed è in questo momento che è nato il suo quarto film, “Beautiful Helen”. 

«Volevo fare e tentare qualcosa di diverso e per me nuovo: “Beautiful Helen” è un film completamente diverso dai precedenti, c’è un diverso modo di raccontare anche. Se i miei primi tre film sono accomunati dallo stesso sentimento, il mio quarto no, c’è un approccio totalmente nuovo per me. So che non è il mio cinema ma volevo provare una novità, quasi come se fossi di nuovo studente, di nuovo agli inizi. E’ stata una sfida interessante ma ora sono felice di poter tornare, con il mio quinto progetto, alle atmosfere della mia trilogia, a una narrazione più visiva. Vedremo, ho appena iniziato a lavorarci e girerò quest’autunno».

In questi anni stiamo vivendo una sorta di “new wave” nel cinema georgiano, con autori come Alexandre Koberidze, Elena Naveriani e non solo. Quanto li conosce e quanto li sente affini?

«Ovviamente li conosco tutti, il nostro è un piccolo Paese e questi giovani autori e autrici li conosco bene. La sensazione che abbiamo è quella di conoscerci un po’ tutti, nel nostro mondo: hanno davvero un grande talento, stanno cercando di fare il loro meglio e so quanto sia difficile fare cinema in Georgia, non ci sono supporti economici statali, non esiste una vera industria, ogni film georgiano è come un capo fatto a mano da te stesso. Il loro lavoro è quindi ancora più importante, stanno cercando di tenere in vita il cinema georgiano ma senza aiuti pubblici è davvero proibitivo. Il nostro Governo pensa che la cultura non abbia una vera importanza, si chiedono perché dovrebbero sostenerla…».

A Torino nella rassegna sono previsti anche i suoi cortometraggi: quanto sono stati importanti per lei come autore? 

«Amo molto i miei primi corti, posso davvero paragonarli ai primi passi di un bambino: devi imparare come fare cinema e quello è l’unico modo vero. Quando studiavo all’università ero felice perché i nostri professori erano molto dediti a noi, poi è iniziato il caos che ha reso tutto più complesso. Se devi costruire una sedia però devi sapere da che parte iniziare a farlo, non basta l’idea: un film è anche un prodotto, per arrivare a mostrarlo su uno schermo devi imparare tante cose tecniche. Per questo sono legato ai miei corti, mi hanno insegnato aspetti fondamentali sulla scrittura, la produzione, la direzione degli attori, la regia. Ora ho girato di nuovo un cortometraggio (“Frost and a Little Schoolboy”, 2023, NdI): è stato molto interessante crearlo con un team di lavoro molto piccolo, mi ha ricordato i miei inizi e come mi sentivo a quei tempi. E’ stato difficile ma anche molto divertente provare a mettere tutto ciò che volevo, tutti i miei sentimenti, in una storia così breve: spero di avere di nuovo in futuro la possibilità di lavorare ancora con i cortometraggi!».