Daniele Vicari: “Io, Michele e Fela Kuti”

Giovedì sera 21 marzo alle 20,15 al cinema Fratelli Marx di corso Belgio il regista Daniele Vicari sarà in sala per presentare il suo ultimo lavoro, “Fela Il mio dio vivente”, candidato ai David di Donatello come miglior documentario dell’anno. Nei primi anni ’80 un giovane regista, Michele Avantario, incontra il grande musicista e rivoluzionario nigeriano Fela Kuti e da quel momento dedica la sua vita alla realizzazione di un film interpretato dallo stesso Fela.

Vicari, tutto nasce da un incontro casuale, giusto? 

«Esatto, nel 2019 alla festa del cinema di Roma sono stato avvicinato da Renata Di Leone, che è stata sua moglie (Michele è morto nel 2003): lei mi ha parlato dell’archivio del marito in cui erano conservate sia riprese fatte da lui sia materiali che aveva raccolto in giro per il mondo. Lei inizialmente voleva fare film su Fela Kuti ma io mi sono concentrato sullo sguardo di Michele, che ho trovato da subito privo di schemi e pregiudizi, anche di carattere cinematografico, erano riprese fatte con grande libertà, sembrano appunti per la sceneggiatura di un film da fare (quel film si chiamava “Black president”, ne parliamo nel documentario: quello che ho fatto io non è il suo film)».

Cos’ha trovato di speciale nel lavoro di Michele? 

«Da subito si capisce, dagli sguardi delle persone intorno a lui, che ispirava simpatia e vicinanza, era diventato sempre più interno a quella comunità, vediamo la caduta di una barriera. Michele entra a far parte di un mondo che inizialmente non era affatto il suo: noi verso l’Africa siamo sempre molto rigidi, vedo in questi atteggiamenti scorie residue del colonialismo, pregiudizi e mancanza di conoscenza».

Come ha trovato il giusto equilibrio nel lavorare sul suo materiale d’archivio senza snaturarlo? 

«Dallo studio del materiale: è stata fondamentale la scrittura di un trattamento in cui fosse chiaro il percorso narrativo. Noi non siamo Michele: l’incontro tra lui e Fela è il cuore di questo film, lui era coinvolto direttamente e poteva solo in parte raccontarlo, io invece potevo. Il loro è stato un incontro esemplare e sproporzionato, lui era solo un ragazzo che tentava di fare del cinema ma Fela, pur restando sempre fedele alla sua rigidità di condotta, lo accolse, anzi lo condusse piano piano, lentamente, nella sua famiglia, nella sua cultura, nella sua intimità. Quello è stato un privilegio solo suo. Credo sia molto chiaro un aneddoto che ho scoperto da poco: Seun Kuti, figlio di Fela, ha raccontato che alla morte del padre, quando era dodicenne, la sua famiglia lo inviò a Roma da Michele per metabolizzare il dolore, lui lo considerava come uno zio».

Qual era il suo rapporto con Fela Kuti prima di questo lavoro? E quale è dopo? 

«Ho sempre ascoltato molta musica e Fela faceva parte di questi ascolti. Devo dire però che io non ho figure guida nella mia vita, sono molto laico in questo. Lo considero un grande musicista e politico, non ha mai  però avuto su di me un fascino travolgente: è chiaro che ora l’ho capito meglio e lo considero uno dei più grandi personaggi del secolo scorso, come Bob Marley ma forse con maggiore importanza, non tanto e non solo sul piano musicale (anche se ha creato l’afrobeat, mica poco). Aveva una consapevolezza politica speciale su tutta l’Africa, ribadiva la necessità di valorizzare la propria cultura, ha influenzato milioni di persone».

Quindi lei non ha nessun personaggio cui sarebbe disposto a dedicarsi come Michele per Fela? 

«No. Dobbiamo avere chiaro che siamo soli, mettiamocelo in testa: nel nostro tempo non produciamo figure di questo genere e se ci sono le distruggiamo, è un mondo senza passioni, o al massimo di passioni tristi. Siamo passivizzati, non giriamoci intorno: Michele prende l’aereo e va, io “parto” mettendomi al computer. La virtualità è interessante ma non può sostituire il viaggio. Alla prima romana mi ha stupito (ma pensandoci dopo non avrei dovuto stupirmi) che alcuni ragazzi – in sala perché pensavano di vedere un doc musicale – alla fine mi hanno detto: non immaginavamo che in quegli anni si potesse essere così liberi! Ora non siamo liberi, dobbiamo liberarci prima di poter fare qualsiasi altra cosa».

La serata è organizzata da AIACE Torino in collaborazione con Seeyousound International Music Film Festival e con TUM Torino. All’incontro interverranno il coordinatore di AIACE Torino Enrico Verra e il giornalista Paolo Ferrari. Ingressi: intero € 8; ridotto € 6; soci AIACE € 5.