Dopo l’evento al Comala del 17 settembre, con la proiezione del tedesco “Somehow” di Aki T. Weisshaus, vincitore della nona edizione e con la presentazione del festival, i motori del Torino Underground Cinefest sono ormai caldissimi.
Nella lineup di questa edizione, formata da 104 titoli, vi sono ventidue film italiani, dodici francesi e sette belgi, a conferma, considerando Francia e Belgio, dell’ottima salute del cinema francofono più o meno indipendente. Buona la presenza di Gran Bretagna con nove titoli e degli Stati Uniti con sei, a cui seguono Germania, Iran, Olanda, Finlandia, Cipro, Russia, Ucraina, Taiwan, Polonia, Spagna, Brasile, Austria, Turchia, Serbia, Lituania, Canada, Uganda, Svezia, Svizzera, Irlanda, Giappone, Cina, Armenia, Danimarca, Australia, Macedonia, Giordania, Messico. “Non vi sono, quest’anno, opere israeliane, ma non per una scelta di campo pregiudizievole”, commenta il direttore artistico, Alessandro Amato.
Fra i temi ricorrenti, trasversali alle sezioni presenti al TUC, in concorso e non, si segnalano: l’abuso di sostanze stupefacenti, il disagio giovanile, la solitudine, il rapporto fra l’uomo e lo spazio naturale, la guerra, la memoria di individui e nazioni, e i conflitti intergenerazionali, in particolare, con le figure paterne. Particolarmente forte la presenza di protagonisti in età infantile, giovanissimi alle prese con problemi con adulti e in mancanza di riferimenti responsabili. Inoltre alta si registra la percentuale di registe donne.
Caratterizza l’undicesima edizione del TUC un’interessante partecipazione di lavori dedicati al presente dell’Iran. Si ricorda “Tomorrow” di Aryasb Feiz, cortometraggio animato pluripremiato, che mostra un bambino alla ricerca di cure per il padre malato che, grazie all’amicizia con un cane, troverà conforto, speranza e trasformazione in circostanze difficili. Fra i corti di finzione spiccano “Would you rather be alone?” del belga Victor Ridley, girato in francese e persiano, su un giovane esiliato afflitto da problemi psicologici, e “A good day will come” di Amir Zargara, focalizzato su un lottatore professionista che deve scegliere se sfruttare la sua visibilità per opporsi alla tirannia o se tacere e continuare a perseguire i suoi obiettivi personali. Mentre è un documentario di un lungometraggio “The shadow yearning to fly” di Elham Ahmadi, in cui la regista racconta la storia di Golnoosh, una giovane pittrice che, dopo aver subito una violenza sessuale, rimane in silenzio per anni, esprimendo la sua protesta solo attraverso i suoi dipinti.
Altro Paese problematico su cui il TUC punterà il proprio “occhio di bue” è il Brasile, grazie al cortometraggio “Vambora” della francese Laurier Fourniau, proveniente dal concorso ufficiale dell’International Clermont-Ferrand Short Film Festival 2024, il quale, ambientato nel settembre 2022, ha sullo sfondo le fazioni per le imminenti elezioni presidenziali.
Per quanto riguarda la persistente guerra in Ucraina due storie di rifugiati sono presenti nella lineup del festival indie torinese: da una parte, il corto “In Paris no one thinks about tomorrow” diretto da Andrii Kokura che, tramite la storia della modella Alissa, fuggita a Parigi, si interroga sulla ricerca di sé e sulla perdita; e dall’altra, il brevissimo e sperimentale “How to love a palm tree?” di Ivan Nevesenko che traduce la distanza, quella sensazione di non sentirsi mai a casa, quasi un alieno, proprio come le palme forzosamente trapiantate in California.
A proposito del tema guerre e memoria, invece, due lavori brevi portano l’attenzione del team festivaliero alla Serbia: “Life after death” di Ognjen Petković (già stato in concorso al TUC nel 2020 con “Autumn waltz”) guarda con gli occhi di un ragazzino un gruppo eterogeneo di persone mentre si cerca di ricostruire le vite distrutte e ci si prepara a un imminente trasferimento; mentre “Milena” diretto da Željko Stanetić mostra una giornalista che intervista una coppia dopo vent’anni dalla fuga dalla Croazia, ma con imprevedibili risultati.
La memoria si fa patrimonio genetico col documentario di produzione francese “Das ras, a bicycle journey” dell’italiana Ambra Tonini, dedicato alla rielaborazione di una storia di famiglia legata al secondo conflitto mondiale, ma con un lungo strascico nella contemporaneità. Si segnala anche dal Canada “Diary of a father” di Paul-Claude Demers, in cui il regista parte dalla lontananza della figlia per ripercorrere le tappe del proprio rapporto col padre adottivo e riflettere su quello biologico, che non ha mai conosciuto, ricorrendo anche al cinema, tramite immagini di autori come Ingmar Bergman e Wim Wenders. Di questo filone tematico vi è pure “Father and jaust” dei tedeschi Jonas Bomba & Josua Zehner, fra i promotori del progetto “Somehow” con cui è stata proposta la pre-apertura del TUC, che segue l’attore Alex durante un viaggio col padre nei luoghi delle vacanze infantili: un’occasione per dialogare sulle vessazioni subite all’epoca dal genitore violento.
“Come sempre il TUC si conferma un festival tematicamente complesso e ricco di suggestioni sul mondo in cui viviamo, in grado di regalarci anche punti di vista imprevedibili sulla realtà”, precisa Alessandro Amato, direttore artistico del TUC.