Ogni domenica mattina al cinema Nazionale, un film: inizia il 10 novembre alle 10.30 e andrà avanti fino al 9 marzo “L’eterna illusione – Il noir americano dal 1941 al 1957“, a cura di Cesare Petrillo e Simone Fabio Ghidoni. Si comincia con “Non voglio perderti” di Mitchell Leisen, tutti in versione originale sottotitolati in italiano.
Spiegano gli organizzatori:
La grande stagione del noir hollywoodiano coincise con l’immediato dopoguerra, quando il cinema per forza di cose perse l’innocenza, l’astrazione e la gratuità che avevano rallegrato il pubblico con il New Deal. Le commedie di Lubitsch e Capra, i cheek to cheek di Fred Astaire e Ginger Rogers, l’anarchia dei fratelli Marx e Carole Lombard, le stravaganze di Betty Grable, Carmen Miranda o Busby Berkeley fecero largo a un cinema realistico che raccontava al mondo l’America in un modo più adulto.
Tra i generi il noir è forse il più difficile da definire. Un musical è tale perché ci sono canzoni e coreografie. Il western ha una collocazione geografica precisa (a ovest di Chicago) e un eroe vestito da cowboy. L’horror classico si nutre di sovrannaturale.
La commedia fa ridere (non sempre succede, ma l’intenzione è quella). Ma come definire un noir? Non bastano personaggi o snodi narrativi ricorrenti per delimitarne l’area e nemmeno uno stile visivo o formale come l’uso di luci, ombre e penombre. L’elemento del crimine è fondamentale; eppure, i film di Hitchcock (Notorious, Intrigo internazionale) non sono e non possono essere classificati come noir. Più spesso che no, il paesaggio noir è metropolitano, ma molti classici sono ambientati in cittadine di provincia, in posti sperduti o semplicemente on the road. La presenza di un detective e di una femme fatale serve a restringere il campo, ma poi arriva Giungla d’asfalto dove non ci sono né l’uno né l’altro.
Neanche l’uso del bianco e nero basta: il noir si reinventa negli anni Settanta e Ottanta, quando il cinema è a colori. È anche difficile datarne l’inizio. A volte, erroneamente, si fa risalire il noir al 1940 con Lo sconosciuto del terzo piano, piccolo film di serie B con Peter Lorre oppure al 1941 con Il mistero del falco di John Huston. (È un remake di un Mistero del falco girato nel 1931 da Roy Del Ruth e rifatto poi nel 1936 da William Dieterle). I grandi noir degli anni Quaranta e Cinquanta hanno un debito notevole con i film di gangster del passato: dal muto Le notti di Chicago a quelli dei primi anni Trenta, Piccolo Cesare, Nemico pubblico, Le vie della città, Scarface – tutti incentrati sull’impero del crimine che prospera con l’avvento del proibizionismo. Alcuni storici lo fanno risalire a un certo tipo di letteratura pulp degli anni Trenta (i romanzi di Dashiell Hammett e James Cain soprattutto). Ma significa ignorare l’influenza europea: ricordiamo tre classici di Jean Renoir come La notte dell’incrocio (1932), La cagna (1931) e L’angelo del male (1938); questi ultimi due rifatti poi a Hollywood, entrambi da Fritz Lang, come Strada Scarlatta e La belva umana, due capisaldi. E a proposito di Fritz Lang, come dimenticare Il dottor Mabuse (1922) e M (1931) che precedono anche i capolavori di Renoir?
La parola stessa, Noir, è francese e fu un francese, il critico Nino Frank, che nel 1946 se ne servì la prima volta per definire quello che stava accadendo nel cinema americano. Il termine fu adottato dagli addetti ai lavori e critici statunitensi molto più tardi: quando venivano girati, i vari Il grande sonno o Le catene della colpa erano definiti “melodramas” o “crime dramas”. C’è un sentimento però che ricorre dal muto agli anni Ottanta, dalla Germania e la Francia all’America. Un sentimento ineluttabile di tragedia che accompagna qualsiasi noir degno di questo nome. La sensazione che qualcosa di terribile stia per accadere sullo schermo, che non ci sia via di uscita. Imperano crudeltà, cinismo e avidità. Sappiamo che prima o poi un delitto verrà commesso e le vite dei personaggi saranno segnate per sempre dal dolore e dalla morte.
Circuito Cinema presenta un piccolo plotone di noir americani per rifare amicizia con quegli autori e attori che hanno nutrito l’immaginario mondiale negli anni del dopoguerra, per immergerci in quell’atmosfera buia e inquietante, quelle luci di taglio, e soprattutto quel mondo notturno popolato da criminali che parlano in slang, donne perdute, sbirri incalliti, sadici, masochisti, alcolisti, talpe, ricattatori e vermi d’ogni genere.