Scrivere di cinema a Torino: Enrico Giacovelli

Iniziamo questo mese un ciclo di interviste e approfondimenti dedicati a chi di cinema a Torino scrive: critici, saggisti, narratori (e anche case editrici). Numeroso il gruppo da cui attingere: il primo incontro di questa lunga passeggiata è con Enrico Giacovelli, autore di tanti saggi sulla commedia all’italiana e sul cinema comico statunitense, ora in libreria con una storia del muto torinese e dal 2015 direttore editoriale della casa editrice romana Gremese.

Come e quando hai iniziato la tua carriera nel mondo della scrittura cinematografica?

Tutto è nato a Palazzo Nuovo, a Torino, dove frequentavo i corsi di cinema del professor Rondolino, che allora era – alla fine degli anni ’70 – l’unico in città a insegnarlo. Aule strapiene, grande affluenza: con lui ho preparato la mia tesi sulla commedia all’italiana, ma in fase di discussione i nostri rapporti non sono stati buoni, non ha apprezzato il mio lavoro e quindi, avendo rifiutato di dargli la mano alla fine, abbiamo preso le distanze e mi sono spostato a Roma (negli anni poi i rapporti sono migliorati).
A Roma con Gremese ho pubblicato quella tesi, “La commedia all’italiana: modelli narrativi e prospettive ideologiche“, con la quale ho poi vinto il Premio Adelio Ferrero nel 1982 e il Laceno d’oro per la migliore tesi sul cinema nel 1986. Le conoscenze in questo mondo sono fondamentali: sono riuscito a far leggere la mia tesi a Giovanni Grazzini, che ai tempi curava la collana, e con Gremese è iniziata la mia carriera.

Quali sono i tuoi temi preferiti?

Da allora ho scritto una trentina di volumi miei, a cui si aggiungono collaborazioni saltuarie, con vari editori e anche con alcune riviste come Cinema & Cinema.
Quando fai un libro di relativo successo le case editrici si aspettano da te di provare a ripeterlo insistendo sugli stessi argomenti. Ho quindi ricevuto richieste – e spesso accettato – domande di libri sulla commedia all’italiana, inevitabilmente ripetendomi… Peccato, non solo per me: c’è poca voglia di rischiare, in questo settore.

Si può vivere di questo mestiere?

Sinceramente, no. Né 30 anni fa né ora: il mio libro “Poi dice che uno si butta a sinistra!“, che raccoglieva una serie di battute di Totò, aveva iniziato a vendere bene e per questo è stato bloccato dagli eredi. La causa poi l’abbiamo vinta noi, ma per due anni non abbiamo potuto più venderlo e nel frattempo è uscito con Rizzoli un libro molto simile, curato dalla figlia di Totò, che ha “ucciso” sul mercato il nostro. Capita di rado di avere un libro di cinema in classifica, e quando succede…
Per il resto, si viaggia sulle 1000 copie vendute a volume, in media. Numeri troppo piccoli, è evidente. Per gli autori e per le case editrici. Pochi sono poi gli editori che pagano, e quando lo fanno si tratta davvero di pochi soldi: meglio non fare il calcolo di quanto si è pagati in proporzione al lavoro che ci si mette… Davvero non si capisce perché così tante persone continuano a scrivere di cinema!

Il tuo progetto più recente è “Silenzio, Si Gira! La Straordinarissima Avventura Del Cinema Muto Torinese“, edito dalla torinese Yume.

Il merito è di Massimo Centini, collega che conosco da tempo e che ora dirige la casa editrice, che non è legata al cinema ma ha voluto fare un esperimento che sta fortunatamente andando benissimo.
Si tratta del primo volume completo sul muto torinese, e sta vendendo molto anche fuori Torino!

Dal 2015 sei il direttore editoriale di Gremese, una delle principali case editrici di cinema in Italia.

Sì, anche se è davvero difficile. Dopo anni senza direttore editoriale (in passato c’erano stati nomi come Claudio G. Fava, Grazzini, Caldiron…), ha deciso di cambiare e mi ha chiamato: abbiamo rischiato con alcune scelte (la collana sui film della vita, ad esempio), puntando ad affidare noi i libri agli autori senza aspettare le loro proposte.
Proprio in queste settimane sto facendo molta fatica, vorrei pubblicare un libro su Alain Resnais in vista dei 100 anni dalla sua nascita ma trovo molte resistenze… se ci mettiamo a discutere un testo così, che posso fare io?
Nelle prossime settimane usciranno un Tutto Fellini, anche questo per il centenario, e un bel volume su Bernardo Bertolucci. Ma mi trovo molto spesso a dover dire dei “no”, e questo mi spiace anche perché sono un autore e so quanto male può fare…
Abbiamo le nostre collane classiche, abbiamo sempre la doppia uscita anche sul mercato francese (devo dirlo: anche quando un libro va male, in Francia vende sempre il doppio rispetto all’Italia!), ma le cose potrebbero sicuramente andare meglio.

Il panorama torinese in questo campo come lo vedi?

Dal punto di vista editoriale un nome storico come Lindau da qualche tempo si sta tirando indietro sulle pubblicazioni di cinema, ci sono altre realtà “generaliste” – come Yume, come Daniela Piazza – che ogni tanto pubblicano testi di cinema.
Come autori mi vengono in mente per primi quelli che hanno collaborato con noi, come Steve Della Casa e Caterina Taricano, ma ci sono davvero moltissime persone brave in città che scrivono di cinema.

Progetti futuri?

Da anni cerco di scrivere un libro su Max Ophuls, uno dei miei autori preferiti. Potrei farlo uscire con Gremese, ma è evidente che sarebbe solo un “regalo” per me visto il ruolo che ho, non credono in un testo del genere…
Ho poi l’idea da tempo di creare un tablet-book, che sia un’evoluzione tecnologica rispetto all’ebook potendo mostrare video e immagini dai film che analizziamo nei testi. Ma siamo troppo piccoli per affrontarne i costi. Io compenso per ora usando il mio canale YouTube, che ha milioni di visualizzazioni, ma spero in un prossimo futuro di poterlo fare direttamente sul libro.