Ospite dell’edizione 2022 dei Job Film Days, l’iraniano Mahmoud Ghaffari, regista di Rooz-e Sib / The Apple Day, in concorso e in anteprima nazionale, ha commentato la situazione del suo Paese poco prima della presentazione del suo film, ieri al Cinema Massimo di Torino. «Le donne possono salvare la società iraniana».
Ghaffari, il suo film racconta di un venditore di mele al quale viene rubato il furgone, ma troverà il modo di risolvere la crisi grazie alla moglie. Al centro c’è il figlio Mehdi che deve portare a termine un compito per la scuola. Come è nata l’idea?
«All’inizio avevo deciso di fare un film sui cani in Iran perché si trovano in una pessima situazione, perseguitati per questioni religiose. Di solito si trovano nei sobborghi delle città e ho frequentato queste zone per anni, quindi ho conosciuto le vite delle persone di quelle aree marginali. L’Iran subisce severe sanzioni internazionali e molta corruzione interna, il 30% delle persone è obbligata a vivere nei sobborghi. Ho quindi deciso di fare un film sulle deprivazioni dei bambini in queste zone perché loro non hanno colpe nell’aver creato queste condizioni, che sono invece in mano ai legislatori e ai politici. Sono interessato al cinema neorealista italiano, ho sempre voluto fare un film con quel tipo di atmosfera».
Quali sono le condizioni di lavoro in Iran?
«Non c’è nessun sindacato perché il buon senso impone di evitare assemblee. Quindi non esiste sicurezza e la legge è fatta negli interessi di governo e datori di lavoro. Perché in effetti gran parte dell’economia è nelle mani del governo. Nel caso delle donne, ci sono molti problemi che impediscono loro di crescere e diventare dirigenti. Il governo insiste sul fatto che debbano stare a casa e crescere i bambini. Tuttavia, le donne iraniane non lo accettano, attaccano le leggi discriminatorie e si impongono in diverse professioni. È dura ma c’è speranza».
Cosa pensa della situazione di questo periodo con le manifestazioni di piazza e gli omicidi di due donne?
«Purtroppo lo avevo predetto. Dieci anni fa ho girato un film underground dove tre giovani atlete erano escluse da un campionato mondiale, per via dell’hijab, da parte del governo iraniano. Una di loro stava davanti alla telecamera e si tagliava i capelli. Senza rabbia, si ribellava contro il governo. La società iraniana è cambiata molto e le donne guidano questi cambiamenti, combattono sempre per i loro diritti di base e questo è il motivo per cui ogni giorno diventano più forti, oggi possono salvare la società iraniana. Il loro coraggio fa sì che gli uomini le seguano, sono un’ispirazione. Hanno lanciato una rivoluzione delle donne in Iran. Oggi, la frase “donne, vita e libertà” di questa rivoluzione è ripetuta da uomini e donne ovunque nel mondo. Siamo nella parte più bella della storia del mio Paese».
Lei presenta a Torino un film sulla speranza. Che futuro ha l’Iran?
«Come ho detto, il motto della rivoluzione iraniana è “donne, vita e libertà”. Nelle tre parti di questa frase c’è speranza, le persone non vogliono più un governo religioso, vecchio e corrotto. Vogliono una vita normale come in qualunque altro posto del mondo. Sono stanche delle pessime politiche e delle decisioni egoistiche del legislatore religioso. Noi iraniani abbiamo deciso di cambiare e le persone sono state uccise in strada. Spero che i governi occidentali non si stiano dalla parte dei dittatori e supportino il bisogno delle persone con i problemi energetici in inverno. Un Iran libero e democratico può rendere migliore la situazione in Medio Oriente. E questo sarebbe un beneficio per tutto il mondo».