Concluso il Torino Film Festival 42, il primo diretto da Giulio Base, dopo le tante supposizioni di questi mesi e le parole di questi giorni, è doveroso un ragionamento finale, in attesa dei numeri ufficiali (che dovrebbero essere diffusi nella giornata di lunedì, ha annunciato il direttore).
Premessa: non esiste una formula giusta o una sbagliata a prescindere per fare un festival di cinema. Ci sono idee e progetti, volontà e opportunità: il TFF42 (e il ragionamento potrebbe finire qui) al Museo del cinema che ha scelto Base è piaciuto moltissimo. La missione del direttore artistico è dunque riuscita, il presidente Ghigo alla cerimonia di chiusura ha detto che la scommessa è vinta e che tutte le idee sono state di successo. Lui era la persona da accontentare, avendo scelto la linea da seguire, quindi bene così.
Ma. Di “ma” ce ne possono essere molti, ogni persona che ama e frequenta il festival avrà i suoi. Avendo questo spazio privilegiato, mi permetto di esporre i miei… ma prima elenco le cose per me molto riuscite. Ero molto prevenuto, ad esempio, e invece la cerimonia inaugurale al Teatro Regio ha funzionato dal primo all’ultimo minuto (c’è stato soprattutto un grande ritmo e una bella partecipazione), unita all’asciuttezza di tutte le cerimonie, mai prolisse. Il pubblico nuovo, cui si puntava al di là dei “soliti” cinefili, è stato raggiunto. La qualità media dei film del concorso non era inferiore a quella di altri anni. Si è respirato un clima positivo, il pubblico ha avuto sempre la sensazione di partecipare a una festa, un momento di gioia collettivo. E poi i film di apertura e chiusura: al di là dei giudizi critici, “Eden” con la presenza di Ron Howard e l’anteprima mondiale di un film su Brando in una edizione tutta dedicata al grande attore, sono state scelte perfette.
Lo scorso anno ho partecipato (è risaputo) allo stesso bando che ha vinto Base, mi piaceva l’idea di proporre un’idea di TFF “dei miei sogni”: a cose fatte, mi viene difficile immaginare un progetto più lontano da quello che il Museo ha apprezzato. Detto ciò, è evidente che ci siano state scelte in questa 42esima edizione che non ho condiviso, e non mi sentirei a posto con la coscienza se non sottolineassi le principali, almeno sulle pagine dell’Agenda.
Quindi ecco i miei “ma”.
C’è stata bulimia di Stelle della Mole, di cui poche effettivamente collegate al programma e la maggior parte aggiunte per “fare luce” (la sezione Zibaldone ne giustificava la presenza, ma senza un reale disegno critico).
L’assenza di Torino dal programma per me è significativa (sì, vero, c’era l’albese Giovanna Gagliardo, classe 1941, e l’omaggio al compianto Daniele Segre): dallo storico Spazio Torino in poi, con le nicchie più recenti per progetti giovanili come Piemonte Factory, c’era sempre stata la città. Crescere a Torino e muovere i primi passi nel cinema era anche ispirato dalla speranza di avere prima o poi un film al TFF, magari solo con un corto: così non si sogna più, il festival è di “altri”.
I temi più della forma. Se si parla di temi importanti, il film sarà importante: vero solo in parte. E poi maternità ovunque (un po’ sempre con la stessa impostazione: partorire sempre, partorire tutte…): in un pianeta sovrappopolato non mi pare la priorità da affrontare (ma parlo da uomo, bianco, cis, senza figli per scelta… sarò forse io il problema?), anche se i selezionatori hanno dichiarato che non sia stata una loro volontà ma una presa d’atto tra i film arrivati (6.000 titoli visti e non si parlava anche di altro?). È mancata un po’ la ricerca vera sul formato cinema: non si pretendeva il ritorno di uno spazio come Onde (anche se… perché no?), ma al di là di qualche eccezione la forma dei titoli proposti è parsa in gran parte convenzionale. L’obiettivo (riuscito, ribadisco) era quello di coinvolgere un nuovo pubblico ma parte di quello storico è rimasta spiazzata dal cambio di rotta, il rischio è di perderlo.
Asciugare il programma era una necessità, ma forse si è un po’ esagerato. E poi due sole sale coinvolte, troppo poche: la scelta ha reso comodi gli spostamenti a piedi ma ha circoscritto l’evento in pochissimi metri quadrati di città, “escludendone” troppi altri.
In conclusione? Sempre viva il TFF. Sempre e comunque.
Articolo di Carlo Griseri